Nuove linee della Commissione Europea per realizzare la strategia di Lisbona per la crescita dell”Europa.

Riproponiamo la riflessione del responsabile del Forum PA sul tema in oggetto per gli opportuni approfondimenti e valutazioni dei colleghi da inviare all’inidirizzo di posta elettronica: diruniv@unive.it

La Segreteria

Editoriale 16/03/2010 di Carlo Mochi Sismondi

Dimenticare Lisbona… l”Europa ci riprova

Esattamente dieci anni dopo quel vertice di Lisbona che indicò l’omonima strategia, più citata che attuata, la Commissione Europea ci riprova diffondendo lo scorso 3 marzo il documento strategico “Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.

Certo, come si è detto, l’anamnesi non è gran che: la strategia di Lisbona aveva come obiettivo di fare dell’Europa l’area più innovativa del pianeta e di realizzare la piena occupazione entro il 2010. Come è andata è sotto gli occhi di tutti. E non è solo colpa della crisi globale, che per altro ha avuto negli Stati europei spesso dei correi e non delle vittime: già ben prima della crisi l’obiettivo era nei fatti fallito, anche a causa dei particolarismi di ogni Paese, della mancanza di regia, del sostanziale approccio parcellizzato ad ogni obiettivo.

La strategia di Lisbona era fondata su tre pilastri: competitività economica basata sull’economia della conoscenza, lotta all’esclusione sociale attraverso la formazione, sostenibilità ambientale.

La nuova strategia Europa 2020 invece… pure.

Citiamo dal documento di presentazione:

Europa 2020 presenta tre priorità che si rafforzano a vicenda:crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva; crescita inclusiva: promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale.

L’UE deve decidere qual è l’Europa che vuole nel 2020. A tal fine, la Commissione propone i seguenti obiettivi principali per l’UE: il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S; i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti (compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono); il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà. La prima cosa che viene da chiedersi, quindi, è se ci sono motivi razionali per essere ottimisti questa volta e pensare che fra dieci anni potremo avere in carniere qualcosa di più di quel poco che abbiamo avuto in questa tornata.

Tutto sommato direi che l’ottimismo può essere ragionevolmente giustificato da tre ordini di motivi:il primo motivo somiglia alla “prova ontologica” di Sant’Anselmo dell’esistenza di Dio: se immaginiamo un’Unione europea che esista davvero non possiamo che pensarla in grado di supportare una strategia per la crescita che sia intelligente, sostenibile ed inclusiva. Insomma se non serve a questo l’Unione a che serve? Ma visto che essa esiste e diviene sempre più la dimensione del nostro fare politica sullo scenario mondiale, e questo dieci anni fa era meno vero e meno metabolizzato dagli Stati membri, allora non può che impegnarsi al massimo per raggiungere gli obiettivi posti; il secondo motivo di non-pessimismo è dato dal ridotto numero degli obiettivi: cinque in tutto, dotati finalmente di indicatori chiari e misurabili che costituiscono traguardi ambiziosi, ma non impossibili. Sette in tutto, poi, sono le azioni: insomma qualcosa di gestibile e di controllabile persino dalla non proprio veloce burocrazia di Bruxelles; il terzo motivo è dato paradossalmente proprio dalla crisi: la sintesi inziale del documento è a questo proposito chiarissima, dice infatti: “La crisi ha messo in luce le carenze strutturali dell’economia europea”. Evviva se ce ne siamo accorti allora qualche speranza c’è! Inoltre la stessa sintesi si appella non più alla buona volontà degli Stati membri (che hanno dimostrato ciascuno di seguire il proprio “particulare”), ma alla necessità di un’azione collettiva e ad un’ineludibile e forte governance economica.

Insomma una speranza che questa volta si faccia sul serio c’è. Come finirà lo vedremo. Noi di FORUM PA, dal nostro punto di vista, continueremo la nostra battaglia perché non si sprechi questa crisi, ma perché possiamo usarla per costruire un Paese e un’Europa più forte e competitiva basandosi sul merito e sull’innova

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