L’età dei dipendenti pubblici: l’analisi di Francesco Verbaro

08/04/17

Leggiamo e pubblichiamo di seguito l’interessante riflessione di Francesco Verbaro apparsa sulla rivista Gli amici di Marco Biagi sui problemi della P.A. e sulle possibili linee di intervento per risolverle.

28 Mar,2017 / Scritto da Francesco Verbaro /

La pubblicazione dei dati dell’Aran, che elabora dati della Ragioneria generale dello Stato, permette di lanciare l’ennesimo allarme sul forte invecchiamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Alcuni dati: a lavorare nel settore pubblico e ad avere meno di trenta anni è solo il 2,7% dei lavoratori pubblici. Inoltre, dal 2001 al 2015 l’età media dei dipendenti pubblici è passata da 44,2 a 50,4 anni. Certamente il quadro è fortemente preoccupante, sia con riferimento a ciò che è accaduto negli ultimi dieci anni sia con riferimento a quanto accadrà nei prossimi dieci anni. Le proiezioni ci dicono infatti che nei prossimi dieci anni andrà in pensione circa 1mln di dipendenti pubblici.
Certamente il blocco delle assunzioni, che ha riguardato in particolar modo alcuni settori rispetto ad altri, e la mancanza di una politica del reclutamento non solo hanno portato ad una diminuzione dei dipendenti della PA ma anche ad un loro invecchiamento. Attenzione alla diagnosi e a pensare che sia solo un problema di età e di dimenticare altri aspetti. Ricordiamo che l’ageing riguarda tutta la popolazione italiana e in generale tutti i settori. Nel privato sono avvenuti importanti processi di ristrutturazione, che invece sono mancati nel settore pubblico.
Il problema non è solo anagrafico, ma riguarda i profili e le competenze.
Ricordiamo che i profili professionali, spesso imposti dalla contrattazione collettiva, sono vecchi e risalgono a oltre 30 anni fa. E le competenze del personale sono spesso obsolete, per la mancanza di veri piani di riqualificazione e formazione e per la presenza di una percentuale elevata di dipendenti non laureati o comunque con titoli di studio non adeguati. Nessuno parla oggi dei profili e delle competenze delle risorse umane. Ragioniamo solo su quantità e sui costi. In nessuna azienda moderna si farebbe così.
Gli scenari non sono positivi. Nello schema di decreto legislativo di riforma del d.lgs. 165/2001 (Testo unico pubblico impiego) si immagina che nei prossimi anni si stabilizzino i precari degli ultimi 8 anni. Quindi il reclutamento dei prossimi anni verrà “prenotato” dalle assunzioni del passato.
Al contempo nella PA mancano gravemente figure informatiche, tecnici, ingegneri, esperti in programmazione dei fondi europei, analisti economici, ma anche esperti in diritto comunitario purtroppo.
Inoltre, sono anni che riformiamo la scuola nazionale della PA ma senza aver aumentato l’offerta formativa o i percorsi di reclutamento.
Che fare allora? Basta riaprire il turnover? Se si utilizzano le norme attuali, negli attuali inquadramenti e nelle attuali organizzazioni non serve a nulla o comunque a poco.
Il capitale umano nella PA deve essere un importante elemento di innovazione e non solo un tassello da sostituire. In una visione della PA fordista si sostituiscono i profili di 40 anni nello stesso posto e nello stesso modo senza accompagnare i cambiamenti. Pensiamo a cosa è accaduto nel resto del terziario: credito, poste, assicurazioni, ma anche nella sanità. Pertanto dire che i comuni potranno reintegrare il 70 o il 100 per cento dei cessati degli anni precedenti, non produrrà un miglioramento della situazione sui servizi. Molti comuni piccoli, che fanno fatica ormai a chiudere i bilanci, dovrebbero essere obbligati ad associarsi e certe professionalità, nuove e qualificate, essere reclutate per aree e poli di pubbliche amministrazioni.
Servirebbe una mappatura delle competenze oggi necessarie rispetto ad un nuovo modello di PA. Se dobbiamo aprire alle assunzioni nel pubblico, lo dobbiamo fare non per risolvere la disoccupazione giovanile, come avvenne negli anni ’70, ma migliorare i servizi. Dobbiamo reclutare per il futuro e non per il passato.
Certamente non potremo sostituire il milione di dipendenti che andrà in pensione nei prossimi dieci anni. Ci costerà in spesa pensionistica. Dovremo quindi rivedere i modelli organizzativi e realizzare veramente, e non solo con annunci, una PA digitale e individuare quindi i profili strategici e necessari da reclutare.
Per programmare un piano di assunzioni nella PA occorre rivedere banalmente i bisogni alla luce dei compiti che dovrà svolgere il settore pubblico nei prossimi anni. Banale, ma rivoluzionario per la nostra PA.
Francesco Verbaro
L’età dei dipendenti pubblici

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