Convitto Nazionale Marco Foscarini

Dopo l’8 settembre 1943 e la costituzione della Repubblica sociale italiana alcuni locali del Convitto nazionale “Marco Foscarini” vennero occupati da comandi militari fascisti e furono utilizzati come centro di detenzione temporaneo per diversi ebrei, soprattutto donne e bambini, catturati nel grande rastrellamento del 5/6 dicembre 1943, in attesa della deportazione nei campi di sterminio nazisti.

Tra questi c’era anche la famiglia Grassini. Il padre Raffaele, macellaio, aveva organizzato la fuga della famiglia in Svizzera con l’aiuto del Gruppo di azione partigiana dei lavoratori del macello. Dovevano partire il 6 dicembre con una barca coperta del macello fino a San Giuliano, poi in macchina. si erano procurati documenti falsi. 

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Raffaele Grassini e Lina Nacamulli con la figlia Mirna. Foto proveniente dall’ Archivio della Fondazione CDEC

Mentre si stavano preparando a partire i Grassini vennero avvertiti che i nonni materni erano stati portati via e decisero di non andare per restare tutti uniti. La mattina dopo la famiglia si presentò al Convitto Foscarini, e si consegnò al maresciallo dei carabinieri, che tentò inutilmente di mandarli via prima dell’arrivo dei tedeschi.

Il vice commissario della Questura li pregò di lasciar andare i bambini (Angelo, nato nel 1933, e Mirna, nata nel 1938), ma non vollero separarsi. Erano convinti di essere portati a lavorare.

Loris Volpato, amico di Angelo, racconta dell’amicizia della sua famiglia con i Grassini. Quando seppero del loro arresto andarono al Convitto Foscarini a trovarli e a portare loro del cibo.

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Angelo Grassini, foto proveniente dall’ Archivio della Fondazione CDEC

Un giorno mia madre e mia zia Mary decisero di andare a trovarli e portarono anche me e mia sorella. Andammo al Foscarini, la grande sala era piena di gente, una visione che non dimenticherò mai. I volti delle persone fermate erano tesi; quelli dei grandi esprimevano preoccupazione e paura, i bambini erano stanchi e in lacrime. Il cibo e i fiaschi di brodo che portammo servirono per confortarli; un sorriso di gratitudine balenò negli occhi di quelle persone strappate dalle loro case e incapaci di farsene una ragione. Intanto mia madre aveva trovato i nostri amici; fu allora che un questurino le diede un consiglio: “Quando andrà via porti anche i piccoli della signora”. Purtroppo la mamma non accettò di separarsene: “Io non ho fatto nulla di male, perché dovrei privarmene?

(Testimonianza di Loris Volpato in : Li hanno portati via, 2011)

La famiglia Grassini venne prima portata al campo di Fossoli e in seguito ad Auschwitz.

Targa dedicata alle vittime delle deportazioni conservata all’interno del Convitto

Fonti: Maria Teresa Sega, Il banco vuoto. Scuola e Leggi razziali. Venezia 1938-45, Cierre Edizioni,
Verona, 2018; CDEC