Le leggi antiebraiche fasciste

Le leggi antiebraiche fasciste vennero promulgate in Italia a partire dal settembre 1938 e furono firmate dal Re d’Italia Vittorio Emanuele III e dal capo del Governo Benito Mussolini.
La figura e il ruolo di Mussolini furono centrali avendo egli concorso attivamente alla definizione della natura del «problema ebraico» e, soprattutto, all’identificazione degli strumenti legali per porvi rimedio. Egli si impegnò nella definizione di un modello originale di persecuzione degli ebrei.
Il razzismo italiano nacque molto prima rispetto alle leggi antiebraiche e si basò sul concetto secondo il quale: la razza non ha un carattere religioso, ma solamente biologico.
Un tratto caratteristico del razzismo italiano fu la tendenza all’innalzamento della nazione, della quale solo i componenti appartenenti alle generazioni che da secoli abitavano l’Italia potevano farne parte. Secondo le teorie razziste del fascismo, tutti coloro che vennero definiti “inferiori” dal punto di vista razziale e biologico, ed esempio gli ebrei, gli zingari, gli africani, i malati di mente, mettevano in pericolo la purezza della razza italiana.
Prima della promulgazione delle leggi antiebraiche, attraverso l’utilizzo di volantini, manifesti e riviste razziste come La difesa della razza, gli italiani furono incoraggiati, attraverso la propaganda, a considerarsi razzisti.
Nella sezione dedicata alla scienza della rivista La difesa della razza, si volle trattare il razzismo e l’antisemitismo in un’ottica medica e biologica, soffermandosi soprattutto sulla genetica, il tutto portato avanti attraverso esclusivamente ragionamenti pseudoscientifici basati su pregiudizi e stereotipi.

Per approfondire tocca la scritta SCIENZA.

Testo elaborato dagli studenti del Liceo Benedetti-Tommaseo

Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, Torino, 2002, pp. 3-20.

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