La burocrazia è aumentata? si secondo l’indagine del Forum P.A.

23/05/17

Pubblichiamo per intero un articolo contenente gli esiti dell’indagine condotta tra gli addetti ai lavori dal Forum P.A. in corso a Roma alla Nuvola dal 23 al 25 maggio.
Voi cosa ne pensate ? Condividete l’opinione ricorrente dei colleghi e le cause ? Cosa riscontrate negli uffici universitari ? si gradiscono interventi tramite e-mail all’indirizzo: diruniv@unive.it che verranno pubblicati su questa pagina
La Segreteria Dirstat Università

“La burocrazia statale è aumentata. Parola dei burocrati statali
Pietro Di Michele PALAZZI
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Numeri, tendenze e scenari nell’inchiesta annuale sulla Pubblica amministrazione svolta dal Forum PA
Negli ultimi 5 anni la burocrazia è cresciuta. È quanto sostiene un campione di dirigenti statali. E la burocrazia è un atto di difesa per il 62% del campione che ha partecipato all’inchiesta annuale sulla Pubblica Amministrazione svolta da FPA, società del gruppo Digital360, dedicata in questa edizione alla “burocrazia difensiva”. Il tema sarà approfondito a FORUM PA 2017 (Roma Convention Center “La Nuvola” 23-25 maggio, www.forumpa2017.it).
L’elemento positivo è un uso maggiore delle tecnologie per accelerare i processi/servizi (solo 21 su 100 rispondono di usare “raramente” o “mai” le tecnologie per accelerare i processi); tuttavia persiste la resistenza di alcuni colleghi (anche di altre amministrazioni) a utilizzare i documenti digitali (accade “spesso” per il 49,3% del campione e “sempre” per l’11,6%). Gli stessi cittadini sfruttano poco le interfacce web con la PA e preferiscono recarsi allo sportello (63%).
IL RAPPORTO
I dipendenti pubblici hanno però le idee chiare su come uscire da questo stallo: scelta di dirigenti capaci basata sul merito e non sulla politica (lo dice il 50,7% del campione), meno norme (43,5%), più digitalizzazione (41,9%). La PA cento per cento paperless è forse un sogno (non accadrà nemmeno nel 2030, secondo il 45,3% dei rispondenti); però l’81,8% pensa che nel 2030 finalmente non dovrà ridare alle amministrazioni pubbliche i propri dati mille volte e il 77% è convinto che potrà gestire tutte le comunicazioni con le PA da un unico punto di accesso.
COSA DICE IL CAMPIONE
La causa principale del rallentamento dell’azione amministrativa, così dice il 67,2% del campione (1700 persone, per l’80% dipendenti pubblici), è l’eccessiva produzione di norme che si sovrappongono e generano confusione e disorientamento, tanto che per chi lavora nella PA è difficile comprendere il senso strategico del proprio lavoro (45,3%).
L’USO DELLE TECNOLOGIE
L’elemento positivo è un uso maggiore delle tecnologie per accelerare i processi/servizi (solo 21 su 100 rispondono di usare “raramente” o “mai” le tecnologie per accelerare i processi); tuttavia persiste la resistenza di alcuni colleghi (anche di altre amministrazioni) a utilizzare i documenti digitali (accade “spesso” per il 49,3% del campione e “sempre” per l’11,6%). Gli stessi cittadini sfruttano poco le interfacce web con la PA e preferiscono recarsi allo sportello (63%).
LE RAGIONI DELLO STALLO
I dipendenti pubblici hanno però le idee chiare su come uscire da questo stallo: scelta di dirigenti capaci basata sul merito e non sulla politica (lo dice il 50,7% del campione), meno norme (43,5%), più digitalizzazione (41,9%). La PA cento per cento paperless è forse un sogno (non accadrà nemmeno nel 2030, secondo il 45,3% dei rispondenti); però l’81,8% pensa che nel 2030 finalmente non dovrà ridare alle amministrazioni pubbliche i propri dati mille volte e il 77% è convinto che potrà gestire tutte le comunicazioni con le PA da un unico punto di accesso.
LA NOZIONE DI BUROCRAZIA DIFENSIVA
Chiamiamo burocrazia difensiva quell’atteggiamento, comunissimo tra i dipendenti pubblici, per cui è solo non facendo che si evitano rischi. È burocrazia difensiva pretendere un doppio canale digitale, ma anche cartaceo per i documenti, perché “non si sa mai”. È burocrazia difensiva chiedere cento pareri prima di prendere una decisione e poi comunque rimandarla al proprio superiore diretto o alla politica e non far nulla se non si ricevono esplicite direttive. È burocrazia difensiva non usare le banche dati, ma chiedere ai cittadini informazioni che l’amministrazione ha già. E potremmo continuare.
LE CAUSE DELL’IMMOBILISMO
Le leggi sono troppe. Il rallentamento dell’azione amministrativa e i comportamenti rigidi dei dipendenti pubblici derivano più da questo fattore che dai controlli: il 67,2% del campione lamenta l’eccessiva produzione di regole che genera confusione o crea sovrapposizioni. Un freno è rappresentato anche dal continuo mutamento delle norme (57,9%) e dall’eccessiva frammentazione delle responsabilità (53%). Inoltre, la formazione sulle novità normative non aiuta a risolvere il problema: per la maggior parte dei dipendenti i corsi proposti sembrano inadeguati (37%) oppure non ci sono proprio (25%).”

I decreti correttivi del T.U.Pubblico impiego sono peggiorativi per una vera riforma della P.A. ?

23/05/17

E’ questa l’opinione di Francesco Verbaro, già a capo del Ministero per la Riforma, riportata dal Giornale e che qui pubblichiamo.
I colleghi dell’Università cosa ne pensano? Attendiamo la vostra opinione con e.mail indirizzate a diruniv@unive.it che saranno pubblicate su questa pagina.
Questa Segreteria si è riservata un commento approfondito alla pubblicazione del testo in G.U..
Di certo sul piano generale non può dirsi che lasciare tutto in mano al legislatore sia risultato positivo in questi anni!
Per migliorare la situazione occorrono capacità decisionali in dirigenti con la schiena dritta, in possesso di elevate competenze, all’altezza delle sfide del nostro tempo per mettere ordine nella P.A. e rispondere ai bisogni dei cittadini utenti.
Occorre personale qualificato, motivato che ricostituisca la base fondante e stabile degli assetti organizzativi.

“Pubblica amministrazione, cosa cambia davvero con gli ultimi decreti Madia
L’approfondimento di Antonio Signorini, giornalista del quotidiano Il Giornale
Il messaggio che passa è licenziamenti più facili, meno precariato, premi al merito e una pubblica amministrazione più efficiente. La realtà è che la riforma consegna le chiavi della Pubblica amministrazione ai sindacati, deresponsabilizza i dirigenti e renderà sempre più difficile cambiare qualcosa nella macchina amministrativa dello Stato. Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha approvato gli ultimi decreti legislativi che attuano il pacchetto di norme del ministro Marianna Madia e la riforma si conferma un regalo elettorale. Figlia di due voti, il referendum costituzionale (sul governo Renzi) e le prossime elezioni politiche.

Il dato di fondo è un rafforzamento della contrattazione, che nel caso del pubblico impiego non è un bene, come spiega Francesco Verbaro, ex segretario generale del ministero del Lavoro e direttore generale del pubblico impiego, oggi manager privato: “Si prova a ridare fiducia alla contrattazione collettiva in un contesto, quello del pubblico impiego, in cui la contrattazione non ha dato prova di efficienza ed efficacia come accade nel privato”.

In sintesi, se con la riforma di Renato Brunetta sindacati e Stato potevano decidere nelle trattative solo sulle materie che la legge gli riservava, con il pacchetto Madia le parti potranno decidere su tutto, tranne che sulle materie espressamente escluse dalla legge. Più potere, magari per compensare aumenti di contratto non entusiasmanti. Senza contare che i sindacati nel pubblico hanno già un potere enorme e la controparte, tra burocrazia e condizionamenti politici, ha difficoltà a comportarsi da vero datore di lavoro.

Le differenze pubblico/privato restano intatte sui licenziamenti. Nessun recepimento delle modifiche all’articolo 18 varate dagli ultimi due governi. Per gli statali restano le vecchie tutele e la riforma Madia lo specifica.

Eccessivi gli entusiasmi per la bocciatura per tre anni di seguito che porta al licenziamento. “Sono casi rarissimi”, spiega ancora Verbaro. Senza contare che i dirigenti non hanno poteri in più e con la prospettiva di un contenzioso aspro, difficilmente decideranno di licenziare.

La riforma Madia smonta il sistema di Brunetta che riconosceva i premi di risultato solo al 25% degli statali, quelli meritevoli. La valutazione avverrà a livello di uffici e a farla saranno organismi esterni. Il datore di lavoro, lo Stato e i dirigenti, viene deresponsabilizzato.

Altro cardine della riforma Madia è la stabilizzazione dei precari. Rispetto al primo passaggio al Consiglio dei ministri in marzo, le maglie della regolarizzazione si sono allargate. Potranno essere stabilizzati coloro che abbiano lavorato almeno tre anni negli ultimi otto, anche in diverse amministrazioni pubbliche, e che abbiano maturato requisiti fino al 31 dicembre di quest’anno. “Di fatto si pregiudicano le assunzioni nei prossimi anni”, spiega Verbaro, “destinandole al personale già reclutato nel passato, che magari ha profili non aggiornati. Non si ragiona su competenze nuove”. Un ritorno al passato in tutti i sensi.”